Effetti degli stati emozionali sul circuito della cognizione

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 12 dicembre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Una lunga tradizione ha separato lo studio della cognizione da quello delle emozioni: il primo si è affermato particolarmente come ricerca sull’intelligenza, la memoria e l’apprendimento; il secondo si è presto specializzato quale indagine sulle basi neurobiologiche della paura e della risposta allo stress. Solo di recente, con lo sviluppo delle neuroscienze cognitive, secondo il modello sviluppato presso il MIT ed altre prestigiose istituzioni da scuole facenti capo a Michael Gazzaniga, Joseph LeDoux, Antonio Damasio e tanti altri, si è cominciato a superare la barriera di separazione fra i due campi.

Tipicamente in laboratorio i processi cognitivi ed emotivi sono studiati separatamente o come un flusso temporaneo di stimoli emotivi embricati all’interno di stati funzionali che consentono di svolgere un compito cognitivo. Nella realtà della nostra vita quotidiana, spesso gli stati emotivi rappresentano una condizione protratta nel tempo, che costituisce una dimensione qualitativa nell’ambito della quale si svolgono i pensieri, inclusi quelli più schematici e prossimi alle strumentalità cognitive che si prestano ad un tipico studio di laboratorio[1]. Alexandra O. Cohen e colleghi di un gruppo di ricerca guidato da B. J. Casey hanno esaminato l’impatto delle emozioni sulle azioni usando, con l’indagine mediante neuroimaging funzionale, un nuovo paradigma comportamentale per valutare il controllo cognitivo durante stati protratti di minaccia, costituita dall’anticipazione di un rumore che genera avversione, ed eccitazione dovuta all’anticipazione di una ricompensa in denaro.

I risultati ottenuti sono molti significativi e suggeriscono un impiego esteso e frequente di questo paradigma nella ricerca sulla natura e gli effetti degli stati emotivi sui processi noetici e cognitivi (Cohen A. O., et al. The Impact of Emotional States on Cognitive Control Circuitry and Function. Journal of Cognitive Neuroscience – Early Access, DOI: 10.1162/jocn_a_00906, 2016).

La provenienza degli autori è prevalentemente la seguente: Sackler Institute for Developmental Psychobiology, Weill Medical College, Cornell University, New York (USA); Department of Psychology, University of Wisconsin-Madison, Madison, Wisconsin (USA).

Numerose riflessioni e discussioni sono state proposte alla comunità neuroscientifica sul modo di intendere le emozioni: già nel 2000 Scherer aveva proposto un’approfondita disamina a sostegno di un significato strettamente fisiologico dell’esperienza emotiva in psicologia[2], poi Barrett (2006)[3], Izard (2007)[4], Frijda e Sundararajan (2007)[5] hanno fornito contributi interessanti. A questi, si deve aggiungere l’apprezzabile tentativo di Panksepp - noto studioso degli effetti della musica sul cervello e sull’elaborazione delle emozioni - di conciliare costruttivismo e teoria di base dell’emozione in quella che ha definito “neurologizzazione della psicologia degli affetti”[6].

Nella maggior parte di questi studi, si implica una concezione interpretativa dell’emozione come reazione. Una risposta, diversa dal riflesso osteotendineo e sostanzialmente neuroendocrina e psicologica, ma pur sempre una “breve risposta ad uno stimolo”. Un esempio lo abbiamo nello studio dell’influenza dell’emozione sulla memoria: Elizabeth Kensinger, mutuando questo modo di intendere da Barrett e dagli altri autori più sopra citati, così si esprime: “Gli eventi spesso sollecitano reazioni cognitive, fisiologiche e somatiche di breve durata, altrimenti note come emozioni”[7]. Coerentemente, i suoi studi e la massima parte di quelli che costituiscono oggetto della sua rassegna identificano l’emozione con la reazione emotiva. Il prodursi di uno stato emotivo protratto a seguito di un’esperienza è noto come rottura di un equilibrio omeostatico, nella condizione patologica dei disturbi cronici da stress, per i quali sono state individuate basi fisiopatologiche in corto-circuiti di auto-alimentazione dello stato ansioso. Lo studio delle emozioni fisiologiche come stati affettivi ed emozionali protratti, rimane in gran parte confinato alle osservazioni psicologiche interpretate secondo metodi speculativi tradizionali. Pertanto, indagare gli effetti di stati emotivi su quei sistemi neuronici che sono stati definiti circuito di controllo cognitivo, sia rispetto agli standard morfo-funzionali derivanti da neuroimaging sia rispetto alle prestazioni in compiti discreti, può ritenersi un approccio nuovo.

Lo studio qui recensito, condotto dalle notissime ricercatrici della Cornell University di New York con la partecipazione di Aaron Heller della Wisconsin-Madison, ha studiato l’impatto di stati emotivi di media intensità, ossia non estremi come quelli prodotti da una minaccia di morte o dalla vincita di una lotteria che può cambiare la vita. Gli stimoli, di natura negativa e positiva, già menzionati in precedenza, hanno determinato due tipi di stato mentale ed assetto funzionale cerebrale nei 38 adulti volontari che hanno partecipato agli esperimenti. Il loro cervello è stato studiato mediante le scansioni tomografiche della metodica di risonanza magnetica funzionale, eseguite nel corso di prove di un compito go/no-go sotto minaccia o eccitazione, e volte ad esplorare lo stato del circuito di controllo cognitivo. Il compito era basato su stimoli positivi, costituiti da volti sorridenti (happy faces), stimoli negativi, costituiti da volti esprimenti paura (fearful faces), e stimoli considerati neutri, costituiti da volti privi di caratterizzazioni grafiche emozionali (calm faces).

In estrema sintesi, la prestazione di controllo cognitivo era accresciuta durante lo stato di eccitazione rispetto ad una condizione di controllo non stimolante. Tale accresciuta prestazione aveva una stretta corrispondenza neurofunzionale in una aumentata attività dei circuiti fronto-parietale e fronto-striatale. In contrasto, in condizione di minaccia persistente il controllo cognitivo era diminuito quando la valenza dello stimolo emozionale entrava in conflitto con lo stato emozionale. La buona prestazione, ossia il successo nel compito sperimentale in questa condizione emotiva di contrasto, o “conflittuale”, per usare l’espressione adoperata da Cohen e colleghi, era associato ad un incremento di attività nella corteccia cingolata posteriore. Questo dato appare particolarmente significativo, in quanto tale regione della circonvoluzione del cingolo è parte della rete di default (default mode network) e si ritiene intervenga in processi complessi, quali l’elaborazione delle emozioni nel contesto del sé e il monitoraggio della prestazione. Tale regione ha anche mostrato un accoppiamento positivo con il circuito fronto-parietale implicato nel controllo cognitivo, supportando la tesi di un ruolo della corteccia cingolata posteriore nella mobilizzazione di risorse cognitive per il miglioramento dei processi necessari all’esecuzione del compito. In altri termini, la corteccia posteriore del giro del cingolo contribuirebbe al miglioramento della prestazione interagendo con i sistemi di neuroni della connessione fronto-parietale che si ritiene sia specializzata nel controllo esecutivo di processi di intelligenza strumentale.

I risultati emersi da questo studio suggeriscono che gli stati emozionali sono in grado di modulare in maniera differenziata e specifica il controllo cognitivo, e consentono di proporre all’attenzione dei ricercatori questo nuovo paradigma di studio.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la collaborazione nella stesura del testo e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-12 dicembre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Non è questa la sede per trattare delle interpretazioni teoriche della mente umana che, potendo prescindere dal vincolo della misurabilità sperimentale, sono concepite come approccio complessivo che si avvicina di più alla realtà della quale ciascuno di noi fa esperienza nella vita quotidiana. Tutti sappiamo che la qualità emotiva, il tono affettivo e i sentimenti sono tutt’uno con i pensieri, ma si comprende che il tentativo di individuarne le basi neurali comporta un’analisi consistente inevitabilmente in una scomposizione in parti.

[2] Scherer K. R., Psychological Models of Emotion. In J. C. Borod (editor), The neuropsychology of emotion (pp. 137-162), Oxford University Press, New York 2000.

[3] Barrett L. F., Are emotion natural kinds? Perspect Psychol Sci. 1, 28-58, 2006.

[4] Izard C. E., Basic emotions, natural kinds, emotion schemas, and a new paradigm. Perspect Psychol Sci. 2, 260-280, 2007.

[5] Frijda N. H. & Sundararajan L., Emotion refinement: A theory inspired by Chinese poetics. Perspect Psychol Sci. 2, 227-241, 2007.

[6] Panksepp J., Neurologizing the psychology of affects: How appraisal-based constructivism and basic emotion theory can coexist. Perspect Psychol Sci. 2, 281-296, 2007.

[7] Elizabeth A. Kensinger, Phases of Influences: How Emotion Modulates the Formation and Retrieval of Declarative Memories. In Michael S. Gazzaniga (editor in chief) The Cognitive Neurosciences (fourth edition), Bradford Book, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts (USA), 2009.